Bucaneve, scusa Bucaneve,
se sono fatto così:
non ho giardini, né aiuole, né rose
ma un campo bianco e lì
tu d’istinto cerchi il sole,
mi gridi dentro senza far rumore,
nella mia fredda conchiglia di ghiaccio
un granello di sabbia è diventato perla.Bucaneve
(musica e parole di Roberto Frugone)
Nel sesto episodio del podcast Petali nella burrasca, conversando con Federico Luciani (autore, attore e regista teatrale), abbiamo raccontato i contenuti e l’ispirazione di Bucaneve, una mia canzone composta nel 1995 e pubblicata all’interno di Appunti di viaggio, il mio album di debutto solista di cantautore (1996). Il dialogo ci ha condotto stavolta a parlare, nella stessa puntata, di botanica, di Robinson Crusoe, dell’importanza di trovare il proprio baricentro vocale, il proprio corpo-voce, e di quanto siano importanti i riff e gli ostinati nella composizione musicale.
Gli ascoltatori del podcast troveranno, al termine della puntata, la versione originale del brano, incisa da Enrico Pianigiani e arrangiata con il contributo del chitarrista Carlo Faraci.
Buon ascolto!
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BUCANEVE
(Musica e parole di Roberto Frugone
Tutti i diritti riservati ® S.I.A.E.)
Bucaneve, scusa Bucaneve,
se ti ho chiamato così:
non un giardino, né aiuole, né rose,
mi sei cresciuta qui.
Il vecchio cervo in cerca di allori
fuggiva dalla terra dei cacciatori,
si scuote il capo, ora non comprende
il profumo del fiore tra le sue fronde.
Bucaneve, scusa Bucaneve,
se sono fatto così:
non ho giardini, né aiuole, né rose
ma un campo bianco e lì
tu d’istinto cerchi il sole,
mi gridi dentro senza far rumore,
nella mia fredda conchiglia di ghiaccio
un granello di sabbia è diventato perla.
Bucaneve, sono i bucaneve
che umiliano il ghiaccio e riportano il sole
e l’inverno offeso se ne va,
come tutti i Giuda senza dignità
che mangiano e bevono alla coppa di Cristo
e poi la vendono al potere d’acquisto.
Ma Bucaneve no, tu no,
come gli altri a terra ma in questo no:
io mi ritrovo nelle tue parole
e nelle sillabe di questa canzone,
ché son ribelle, sì, ma per amore
di un fuoco acceso dal mio Signore
nella mia fredda conchiglia di ghiaccio
che piano piano si apre se tu mi dai coraggio
quando mi scopro un servo, come loro,
non del potere ma del mio decoro
e allora scappo ma ho le spalle al muro:
io son sempre lo stesso, quello fuori dal coro
che canta solo e soltanto per sé,
ma la vita da Robinson non fa per me.
Bucaneve, no, non starli a sentire,
per una volta ascolta il canto del mio cuore.
Non ho giardini, ti offro questo campo
da troppo tempo vuoto, inutile, incolto,
io non ho rose coltivate
né aiuole verdi e profumate
ma la fiducia di un mendicante
che ha scommesso su di te.
MUSICISTI VERSIONE ORIGINALE IN STUDIO (1996)
- Roberto Frugone – voce, pianoforte, chitarra folk ed elettrica, tastiere e programmazione
- Carlo Faraci – chitarra elettrica

UNA CANZONE PROTEIFORME
Roberto: «Bucaneve è una canzone che, in quasi trent’anni di vita, ho proposto al pubblico in diverse forme. Infatti, rispetto alla versione che ascolteremo in fondo a questa puntata del podcast – l’originale versione di studio inclusa nell’album Appunti di viaggio, insieme alla Roberto Frugone Band l’abbiamo nel tempo ampiamente riarrangiata e trasformata in un brano dal piglio molto rock, fatto che ha reso questa canzone particolarmente gradito dal mio gruppo nella scaletta delle esecuzioni dal vivo.
Bucaneve conserva però la sua sostanza di genuina e, credo, anche in certi tratti ingenua canzone d’amore, che gioca sull’immagine cardine del primo fiore che avvisa dell’imminente fine dell’inverno, e simboleggia il risveglio, il rinascimento interiore prima ancora che arrivi la primavera. Bucaneve si fregia di quest’immagine forte per raccontare un amore adolescenziale.
RIFERIMENTI BIBLICI ED ESPERIMENTI LINGUISTICI
E l’inverno offeso se ne va,
come tutti i Giuda senza dignità
che mangiano e bevono alla coppa di Cristo
e poi la vendono al potere d’acquisto.Bucaneve (cit.)
Allo stesso tempo, il testo di questa canzone è intriso di un linguaggio che attinge molto a quello della Bibbia, a certe immagini e certi personaggi – come per esempio quello del cervo, o la presenza di quella “coppa di Cristo“, il calice versato con il sangue di Cristo, o ancora i “Giuda senza dignità” che appunto “mangiano e bevono” a questa coppa e poi “la vendono al potere d’acquisto”. Pertanto, secondo me, dentro questo pezzo, che è sostanzialmente un’appassionata canzone d’amore, ci sono anche in qualche modo degli esperimenti linguistici».
Federico: «La cerva, che riprende il Cantico dei Cantici, è ormai universalmente noto come come un testo che parla dell’amore e della sua sensualità».
IL FASCINO PER LA BOTANICA
Non ho giardini, né aiuole, né rose
ma un campo bianco e lì
tu d’istinto cerchi il sole,
mi gridi dentro senza far rumoreBucaneve (cit.)
Roberto: «E poi, se osservi, ritorna nel brano questa triade di immagini botaniche – giardino, aiuole e rose – che io dico di non avere, perché viceversa mi sento più simile a un campo ricoperto di neve.
Federico: «Ti sentivi una persona dal cuore di ghiaccio?»
Roberto: «Non proprio, oltre che un campo ghiacciato su cui poteva sbocciare il calore di un amore, intendevo più che altro la semplicità di un campo di montagna: era questo che volevo esprimere».
L’AMORE CHE LASCIA IL SEGNO, BUCA IL GHIACCIO E FA RINASCERE
Federico: «Quella dell’essere trapassati dall’amore, come quella del fiore che buca il ghiaccio, sono immagini che tu hai riutilizzato in un’altra canzone, lo sapevi? Si tratta di For Your Kiss. (in Rosa di venti e di venture, 2006)»:
Confida in me! Seguimi!
Tu mi hai trapassato come un ago…
Sorella, madre, amica e amante… Resta!
E non resistermi
più di quanto l’inverno resista alla primavera…
Più di quanto quest’inverno resista alla primavera…For Your Kiss
(musica e parole di Roberto Frugone, traduzione del testo inglese cantato)
Roberto: «Ora che me lo fai notare osservo questa affinità: ogni volta fai questi viaggi introspettivi nei miei testi che mi lasciano sempre piacevolmente di stucco! Comunque direi che hai proprio ragione, e che d’altronde si tratta di immagini che non penso di avere inventato io, ma semmai di averle interpretate ed espresse con il mio stile».
Federico: «Questa idea dell’amore che segna, che lascia il segno, ti trapassa e ti fa rinascere, espressa In Bucaneve – la prima canzone d’amore del tuo primo album -, ritorna, come il fascino per la botanica, negli altri tuoi album e in altre canzoni d’amore, per esempio ne La ballata dei giglio, oppure in Perché esistono le mosche…»
LA NATURA E I FIORI COME METAFORA
Roberto: «Sei una specie di enciclopedia delle mie canzoni, e io, ripeto, mi stupisco queste cose! Potrai quindi sicuramente confermare che, nelle mie canzoni, molto spesso ci sono metafore e immagini riprese dal mondo naturale: soprattutto i fiori, con le loro caratteristiche e i loro nomi, in qualche modo metafora di situazioni e caratteri umani. Alla fine, Bucaneve esprime tutto questo. Hai citato la Ballata del giglio, intitolata a un altro fiore, appunto. I fiori si prestano moltissimo alle più varie interpretazioni, sono delle metafore naturali, lo dice una persona che ha dato il nome di un fiore, Viola, alla sua prima figlia. Quest’attitudine a utilizzare la natura come soggetto della scrittura è pertanto assolutamente spontanea, forse anche perché amo molto le piante».
“LA VITA DA ROBINSON NON FA PER ME”
Federico: «Più avanti, nel testo di Bucaneve affermi che
Io son sempre lo stesso, quello fuori dal coro
che canta solo e soltanto per sé,
ma la vita da Robinson non fa per meBucaneve (cit.)
riferendoti ovviamente alla figura letteraria di Robinson Crusoe, seppur egli fosse rimasto in un’isola in mezzo alla natura…»
Roberto: «Certamente, ma la sua figura solitaria e la sua vicenda evidenziano la grande mancanza della civiltà e dei propri simili, anche se poi, la storia del suo incontro con Venerdì la dice lunga tutta una serie di altre caratteristiche e abitudini dell’uomo occidentale. Però, nel mio pezzo, Robinson è l’icona dell’uomo-isola. Diciamo che di quest’idea continuo a esserne certo: per quanto il mito di Robinson sia stupendo, la mia attitudine personale va nella direzione della socialità».
Federico: «L’uomo è un animale sociale, e poi, nel nostro caso particolare, l’artista, con la sua opera, tende a ricercare la relazione, anche se questo non è detto per forza che accada, e ci sono sicuramente tante dimensioni diverse dell’esperienza artistica. E comunque, l’idea dell’artista nell’immaginario collettivo, è quella di qualcuno che vuole arrivare a qualcuno e comunicare qualcosa, per quel bisogno di riconoscimento di cui abbiamo già parlato nella puntata del podcast dedicata a Controvento.
LA TRANSIZIONE DAL FOLK AL ROCK E LA PRESA DI COSCIENZA DEL CORPO-VOCE
Per quanto invece riguarda la musica, con Bucaneve siamo in presenza di un pezzo che ha origini molto folk che sono poi confluite in uno stile rock: come hai vissuto questa transizione?».
Roberto: «Questa domanda è interessante perché mi permette di raccontare quello che è stato il mio excursus musicale e innanzitutto la presa di coscienza della mia voce, perché tutto viene da lì, dal fatto di imparare ad apprezzare sempre di più la mia vocalità.
Questo aspetto è secondo me un passaggio fondamentale nella vita di qualunque artista che voglia lavorare con la voce, e che attraverso di essa voglia esprimersi. In estrema sintesi: la tua voce deve piacerti.
Negli anni in cui ho composto questi pezzi stavo crescendo, sia dal punto di vista fisico che artistico, come musicista. Cresco tuttora, ma con una fisionomia di base che si è consolidata nel corso degli anni. Affermo tutto questo perché, all’inizio, le caratteristiche della mia voce erano quelle di una vocalità tendenzialmente posizionata sui toni più acuti, ed ero affascinato dall’utilizzo della tecnica del falsetto, (il cui uso è particolarmente evidente e caratteristico nell’esecuzione della versione originale di Bucaneve, in cui qua e là viene utilizzato come fioritura delle note del canto).
Ecco, queste caratteristiche della mia voce, insieme a quello che, senza troppa vanità, posso considerare un mio spiccato senso melodico, mi hanno aiutato a posizionarmi su un certo genere musicale: è fuori di dubbio che io, per esempio, senta la mia voce più indicata per cantare il “non-genere” della canzone d’autore, ovvero quell’insieme di generi e sottogeneri che permettono, anche musicalmente, di indagare e raccontare idee e sentimenti attraverso l’intimità della voce. Voce che sento meno adatta a cantare il blues o il rock più spinto, anche se taluni arrangiamenti più pop-rock delle mie canzoni toccano questi generi, cercando però di mantenere sempre l’identità originaria della mia voce, del mio corpo-voce che canta, perché è attraverso di esso che esprimo quello che è il mio messaggio artistico.
Cerco quindi sempre di essere ben posizionato su quest’idea di ricerca del mio baricentro vocale: è come se mi ripetessi ogni volta “la tua voce è questa, abitala“. Ciò non significa che la voce non possa cambiare, anzi, essa è mutata nel tempo, con l’avanzamento dell’età e il tono della mia voce si è abbassato, fatto che mi ha permesso, per fortuna non perdendo gli acuti (dal suono tipicamente ascendente “sparato”), di utilizzare suoni più bassi, e pertanto più caldi e intimi, più adatti a comunicare un’idea di semplicità e prossimità. Conseguentemente, hanno subito una progressiva metamorfosi anche i generi musicali usati per accompagnare questo tipo di voce».
Federico: «Tutto questo rispecchia e facilita la tua progressiva tendenza all’introspezione, alla narrazione e alla riflessione che scava. E poi, questo è ciò che accade in qualche misura nella vita stessa: più si va avanti, più si scava, e la propria voce diventa specchio di questo».
Roberto: «È vero: nel tempo ho imparato pure ad accettare e limare tutte le mie tipiche inflessioni dialettali (credo che la mia voce, mentre parlo, tradisca da un miglio il fatto che vivo in provincia di Genova!), anche se poi, nell’interpretazione canora la mia inflessione dialettale genovese si riduce di molto perché l’accento regionale tende a sparire per via dell’accentuazione governata nel canto dal ritmo musicale.
Quindi, nell’apprestarmi alla composizione come alla performance, cerco sempre di essere ben conscio delle mie capacità e dei miei limiti vocali, senza farne un vanto né vergognandomene, ma semplicemente apprezzando ciò che sono – con una sorta di “autostima vocale” – e ciò che la mia voce è capace di esprimere, ovvero quello che io stesso scrivo e compongo.
RICERCARE LA MIA TECNICA COMPOSITIVA TRA OSTINATI E RIFF
A livello compositivo, Bucaneve testimonia invece la mia passione per diverse tecniche di scrittura che ho sperimentato nel corso degli anni.
In particolare, in questa canzone si vede abbastanza chiaramente la mia passione per gli ostinati, che esprimo soprattutto attraverso la composizione con la chitarra.
Per “ostinato” si intende sostanzialmente la ripetizione di uno o più suoni che vanno a generare un particolare effetto di ripetizione (per i letterati, qualcosa di simile all’anafora in un testo) che conseguentemente facilita nell’ascoltatore la memorizzazione del pezzo. In ambito chitarristico si parla di riff, una frase musicale di solito semplice e molto orecchiabile piazzata dall’autore in parti strumentali strategiche del brano (introduzioni, inframmezzi e stacchi vari, code). Buona parte delle canzoni che hanno fatto la storia del rock e della musica leggera sono caratterizzate da riff memorabili (oltre che memorizzabili!). Ora, io non so se quello di Bucaneve , impostato sulla chitarra che suona il brano in tonalità di La minore (Am) sia o meno un riff memorabile, ma secondo me qui mi pare funzionare!
Ripetuto tante volte, nella versione realizzata con la Roberto Frugone Band (organico affiatato con cui lavoro da oltre quindici anni), questo tipo di riff, che nell’originale è eseguito dalla chitarra folk sovrapposta al pianoforte digitale, si presta a una sua proposizione con arrangiamento elettrificato rock».
Federico: «Bene, in attesa che prima o poi tu e la tua band registriate questa versione rock di Bucaneve, come di tutti gli altri pezzi di quel grande demo che è Appunti di viaggio, ascoltiamo in coda a questa puntata del podcast la versione di studio del 1996».
Roberto: «Contaci, le registreremo: è una promessa!»

DOVE ASCOLTARE IL PODCAST
Il podcast Petali nella burrasca è disponibile gratuitamente su Spreaker.com ed è distribuito su tutte le principali piattaforme di ascolto, tra cui Apple Podcast, Spotify, Deezer, Podcast Addict e Google Podcast.
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