È quasi sera.
La sera di un altro giorno passato sulla terra.
Dormiremo qui in provincia, stanotte.
Perché siamo solo di passaggio.
Un tenue color pastello confonde ed altera
le tinte originali delle cose, qui attorno, e la pelle,
per via della polvere sollevata dal vento sulle strade,
si è abbronzata in un modo tutto suo.Diario di bordo dell’album Un giorno sulla terra
(parole di Roberto Frugone)
Nel nono episodio del podcast Petali nella burrasca, conversando con l’amico regista teatrale Federico Luciani, abbiamo presentato il mio secondo album Un giorno sulla terra, pubblicato nel 1999.
Il dialogo ci ha condotto anche stavolta ad approfondire diversi temi: l’idea di fondo attorno a cui si è sviluppato l’album, cioè tutto ciò che, in qualche modo, una persona può sperimentare in un solo giorno di vita, simbolo e riassunto di un’intera esistenza; l’immagine, nella sua ambivalenza, fortemente evocativa del crepuscolo; il bello di ritrovarsi insieme a scambiarsi vita ed esperienze cantando attorno a un fuoco; l’anima rock e il gruppo multicolore di musicisti grazie a cui è stato possibile realizzare questo disco. Infine abbiamo concluso con l’aneddoto comico sull’affermazione di mio padre in seguito al primo ascolto di Un giorno sulla terra e – brano che gli ascoltatori del podcast troveranno al termine della puntata – Diario di bordo, il testo introduttivo dell’album letto da Federico.
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LA SFIDA DEL SECONDO ALBUM
Federico: «Eccoci di fronte a un nuovo album, il secondo della tua carriera: Un giorno sulla terra, anno 1999».
Roberto: «Sì, stiamo parlando di una produzione concepita nel 1997 iniziata a registrare nel 1998 e pubblicata nella primavera del 1999».
Federico: «Il testo di copertina, estratto dal testo di presentazione inserito nel libretto dell’album, che ho scelto per introdurre a mia volta questa puntata del podcast, riporta il titolo di Diario di bordo, che ricorda l’album precedente in cui parlavi di Appunti di viaggio. Sembra che gli appunti si siano tramutati in un vero e proprio diario di navigazione, come se il secondo album fosse davvero la prosecuzione del precedente: la nave non è più in fase progettuale, ma è uscita dal porto».

Roberto: «Hai colto quel gioco di rimandi di significati che, anche nelle parole introduttive di questo disco, a me sempre piaciuto attivare attraverso il prodotto album, ovvero le canzoni, ma anche i loro titoli e il titolo stesso dell’album – in qualche modo il riassunto stesso dell’opera, ma nello stesso tempo un’affermazione evocativa che voleva tirarsi dietro tutto il resto (abbiamo già discusso della profonda importanza dei titoli nella canzone d’autore). Ma per me è importante anche il libretto, comprensivo di pezzi di diario e testi vari che ho sempre trovato molto interessanti e utili, a mio avviso, per documentare, approfondire e raccontare tutta l’esperienza artistica e umana intorno alla creazione di un album. Si tratta di qualcosa di simile a ciò che stiamo facendo anche con questo strumento del podcast, al contempo documentario ed esplorativo.
STAR TREK, NEL MIO PICCOLO
Il diario di bordo è anche un richiamo alla celeberrima saga di Star Trek, dell’astronave Enterprise, che, come recita la frase di apertura di ogni puntata di questa leggendaria serie televisiva di fantascienza, è “diretta all’esplorazione di strani, nuovi mondi, alla ricerca di altre forme di vita e di civiltà, fino ad arrivare là dove nessun uomo è mai giunto prima».
In ogni puntata di questa saga, il capitano Kirk, leggendo il diario di bordo, introduceva letterariamente l’avventura. Io, in Un giorno sulla terra, ho voluto ricreare questo contesto, citare e fare mia questa suggestione, nel raccontare il mio diario di bordo di quel viaggio, con quegli appunti di viaggio d’arte e di vita che, è vero, in questo album continuano a essere presenti, anche se in un modo particolare e nuovo, riassunto nel titolo stesso e nel suo significato profondo.
COSA VUOL DIRE IL TITOLO “UN GIORNO SULLA TERRA”
Federico: «Cosa vuol dire, allora, questo titolo, che nel tuo terzo album Ultreïa! sarà a sua volta il titolo di una canzone molto importante per te?»
Roberto: «Siamo sempre all’interno di questi rimandi, di questi giochi semantici e catene di significato, processi ed esperienze che cerco di racchiudere dentro i miei album e che si collegano uno all’altro. Ho inaugurato, con questi primi album, una prassi che poi ho mantenuto nel tempo un po’ come mio marchio di fabbrica: in una specie di catena simbolica, l’album successivo aveva sempre al suo interno uno o più richiami talora espliciti talaltra più nascosti con la produzione precedente.
L’espressione che dà il titolo a Un giorno sulla terra sta dunque a significare tutto ciò che in qualche modo una persona può sperimentare in un solo giorno di vita, simbolo e riassunto di un’intera esistenza.
Dal mio modesto osservatorio, volevo fare un affresco di tutte le cose, belle o brutte, che poteva racchiudere l’esperienza di vita di un giorno sulla terra. Volevo provare a raccontare, ovviamente senza nessuna pretesa di essere esaustivo, quella quantità potenzialmente infinita di cose che ci possono capitare, che possiamo vivere in una sola delle nostre giornate.
OGNI GIORNO COME SE FOSSE L’ULTIMO
Dietro tutto questo ci stava il desiderio di esprimere in musica quella volontà, quello spirito, quel desiderio che si trova icasticamente espresso nel celebre detto “vivi ogni giorno come se fosse l’ultimo”. Ecco, c’era un po’ tutta questa riflessione, dietro la concezione di questo disco».
Federico: «Sembra quasi un messaggio per qualcuno lassù, una capsula del tempo testimonianza per quelle “altre forme di vita e di civiltà”».
Roberto: «Io intendevo rivolgermi molto anche a tutti quanti noi quaggiù. E, come avrai osservato, quest’idea riprende i contenuti già espressi in altre canzoni di contesto fantascientifico, tra cui per esempio Voyager».
LA FORZA EVOCATIVA DEL CREPUSCOLO
Federico: «C’è un’altra immagine che tu usi nel testo di introduzione dell’album: quella del crepuscolo. Per te il crepuscolo diventa lo spettacolo girovago della vita di provincia, quello stesso crepuscolo che canterai ancora nella già citata L’arrivo della sera, in cui, secondo me converge tanta parte della tua poetica».
Roberto: «Direi che ti piace particolarmente quel pezzo!»
Federico: «Tutto pare confluire in quel punto in cui canti
Mi sento così simile all’arrivo della sera,
quando non è ancora notte e giorno più non è…
È il momento in cui contemplo ogni crepuscolo
– il passaggio misterioso della vita –(L’arrivo della sera, musica e parole di R. Frugone)
Roberto: «Mi piaceva l’idea bifronte di questo momento della giornata, se ci pensi in qualche modo l’unico che, utilizzando lo stesso termine, può essere inteso, e quindi indistintamente confuso sia come l’inizio, cioè l’aurora, che come la fine del giorno, cioè il tramonto. Solo questo fatto è in sé già poeticamente suggestivo: il momento della giornata che più mi affascina (e credo che affascini un po’ tutti), dal punto di vista dello spettacolo della natura è simile al suo contrario invertito nel suo sviluppo. L’alba, la nascita è omologa della sera, dello spegnersi, del morire. A me questo fa riflettere.
Lo spettacolo del giorno che nasce o muore ha ispirato infinite forme d’arte e di performance; e nella sua rapidità, nel suo essere effimero, che accentua quel senso di passaggio, “il passaggio misterioso della vita”, il crepuscolo è secondo me una potentissima allegoria della vita stessa. Questo senso del passaggio, nella sua fragilità e velocità, è ciò che mi suggerisce questo grande e quotidiano spettacolo gratuito di cui tutti possono godere osservando il giorno».
Federico: «Nell’introduzione c’è ancora un’altra immagine:
Nessuno applaude, nessun sipario all’inizio e alla fine.
Stiamo semplicemente lì, e davanti a noi
il giorno si apre e si richiude
nel bocciolo da dove è venuto.
Mi pare nuovamente un’affermazione del principio dell’arte per l’arte, che non pratichiamo per arrivare chissà dove, ma la pratichiamo per noi stessi. Quest’album sembra dedicato all’arte, e alla bellezza dell’arte di per sé, non quella per forza da appendere su una parete perché tutti la debbano vedano, ma l’arte per l’arte, perché è bello farla».
Roberto: «Hai colto ciò che volevo esprimere con queste parole, che sono introduzione ma allo stesso tempo riassunto (proprio come il crepuscolo, che apre e chiude il giorno) di quest’opera con cui mi volevo mettere in gioco».
CANTANDO ANCORA ATTORNO A UN FUOCO
Federico: «L’introduzione dell’album si chiude con un appuntamento. Dici
Da qualche parte, di passaggio, ci incontreremo e senz’altro mi riconoscerai. Sarò ora un giullare solitario, ora un gruppo multicolore di musicanti che si sposta, si muove e si contorce. Ma nella sera, che fa della musica e della vita una cosa sola, ci ritroveremo a guardare insieme meravigliati il giorno da quel colle. E saremo a casa.
È una conclusione in cui dai un appuntamento, a chi?»
Roberto: «Avevo in testa una delle esperienze più semplici e intense che come musicista, ma prima di tutto come persona, ho avuto la fortuna di poter praticare attraverso la musica stessa.
Che cosa c’è di più bello di un gruppo di persone che si ritrovano insieme alla sera – e l’immagine è ancora più potente se li penso attorno a un fuoco – e cantando le loro storie, le loro esperienze, si scambiano la vita?
Questa è una delle immagini più belle che mi porto dietro, grazie alla fortuna di aver potuto praticare la musica, e che conservo per me come determinanti fin dall’infanzia. Mi ricordo come un momento molto emozionante quello in cui da bambini, a casa, mia sorella e io (mio fratello, più giovane, doveva ancora nascere!) ci sedevamo sul divano a cantare con mio padre che suonava la chitarra. Sono ricordi indelebilmente impressi nella mia memoria più profonda e generativi tutt’oggi della mia identità. Sono esperienze semplicissime ma potenti, così come l’aver praticato la musica insieme, in gruppo, nel contesto di un campo scuola, di una gita, o con gli amici della propria compagnia: alla fine io non ho cercato altro che di trasporre nell’esperienza musicale d’artista queste suggestioni, e quindi, in quest’immagine dell’introduzione di Un giorno sulla terra, vado a rappresentare quest’idea di casa e di cantare insieme».
UN GRUPPO MULTICOLORE DI MUSICANTI
Federico: «Sembra quasi un augurio per te: tu da solo, giullare, oppure tu con un gruppo multicolore di musicisti, che poi, alla fine è la tua band, sei arrivato oggi dove forse ti vedevi allora».
Roberto: «Sì, anche se accadeva già allora che, per fortuna, ci fosse un gruppo affiatato di persone con cui ho potuto elaborare e realizzare questo progetto. Savvero c’era una bella amicizia con coloro con cui ho condiviso questo lavoro che, dal punto di vista musicale, per me ha rappresentato uno scatto stilistico ulteriore, perché con Un giorno sulla terra mi sono avvicinato al rock».
Federico: «In questo album inizi anche a duettare».
Roberto: «L’album è il risultato dell’essermi affidato alle grandi qualità del chitarrista Carlo Faraci, che ha curato molti degli arrangiamenti del disco, e alla presenza dell’ottimo fisarmonicista e violinista Paolo Banchero (che ha reso brillanti, caratteristici e articolati verso altri mondi musicali gli scenari sonori di molti di questi pezzi). Inoltre, la brava e versatile cantante Francesca Ceselli, con cui ho cominciato a duettare e a sperimentare il gusto di affidare le mie canzoni a delle voci diverse dalla mia, in modo particolare femminili, esperienza ripetuta poi molte volte nel periodo successivo. Con questa pratica ho sperimentato l’alterità del canto sullo stesso pezzo, non tanto perché non mi apprezzassi come interprete delle mie canzoni (mi sono sempre sentito cantautore puro, ovvero artista con l’esigenza e il desiderio di volere, oltre che comporre, interpretare le mie canzoni, cucite un po’ su misura della mia identità vocale), quanto perché è sempre stato molto interessante poter proporre l’interpretazione ad altri, arricchire con cori che permettono diversi risultati, per essere condotto su percorsi sempre nuovi, fino poi a ritrovarmi come alla fine di una circumnavigazione, nell’ultimo album di prossima uscita, con il primo e finora unico disco interamente cantato solo da me».
LE MIE CANZONI CANTATE DAGLI ALTRI
Federico: «Quando scrivevi le canzoni che poi hai affidato a una voce femminile, le pensavi già per un interprete diverso da te?»
Roberto: «Ho sempre scritto personalmente, intendendo cioè la composizione – passami la brutta espressione – per me. Non nel senso egoistico del termine, di proprietà privata, ma, siccome il mio stile è spesso introspettivo (anche se ho composto altrettanto di frequente in forma narrativa o didascalica), parto da una visione e una conseguente riflessione personale. Successivamente, invece, nel grande, corale e appassionante lavoro di studio, prende forma l’idea, la sperimentazione, fino ad arrivare al duetto o direttamente all’interpretazione da parte delle altre voci con cui ho collaborato».
Federico: «È difficile pensare ad alcune tue canzoni senza le voci che le hanno interpretate».
Roberto: «Già, e in Un giorno sulla terra, pertanto, ci sono addirittura tre voci che si alternano; la mia, quella di Carlo Faraci, bravissimo cantante con un background hard-rock ed heavy-metal che ha saputo molto mediare con il mio stile pop-rock più morbido, e quella della Francesca Ceselli, brillante interprete di formazione pop-soul che in alcuni brani è corista, in altri duetta, e in Prima della pioggia è voce solista.
I TOTEM, LA BAND DI UN GIORNO SULLA TERRA
Accanto a questi musicisti appena nominati, che hanno costituito l’ossatura su cui costruire il corpo di quest’album, mi piace ringraziare anche tutti gli altri collaboratori molto preziosi di questo progetto: il grande batterista Michele Di Capita che mi ha accompagnato con la sua passione e il suo brio ritmico negli anni tra il 1997 e il 1999, quelli di formazione della band dei Totem (a sua volta nome di una canzone dell’album e del mio studio musicale); i bassisti Lelio Mollar e Massimo Frugone; e l’ospite flautista Mauro Perego, che con le sue note ha impreziosito l’arrangiamento di Ciane zerbie, il mio primo brano in dialetto inserito in quest’album. E poi Enrico Pianigiani, impareggiabile tecnico del suono che ha registrato e curato con gusto il suono di tutti i miei dischi fino agli ultimi realizzati nel mio home studio. Grazie davvero a tutti!»
SCOPRI L’ALBUM UN GIORNO SULLA TERRA
I MUSICISTI
- Paolo Banchero – violino e fisarmonica
- Francesca Ceselli – voce
- Michele Di Capita – batteria e percussioni
- Carlo Faraci – chitarra elettrica e folk, voce
- Massimo Frugone – basso elettrico
- Roberto Frugone – voce, chitarra folk, pianoforte e tastiere
- Lelio Mollar – basso elettrico
- Mauro Perego – flauto
CREDITI
- Musiche e parole di Roberto Frugone
- Arrangiamenti di Carlo Faraci e Roberto Frugone
- Registrato e mixato da Enrico Pianigiani
- Prodotto nel 1999 da Roberto Frugone
- ℗ 2016 Dughero Paolo Edizioni Musicali
TRACCE
- Salomè
- Ninno (mio nonno Vittorio racconta in dialetto genovese)
- Ciane zerbie
- Zapping
- Prima della pioggia
- Perché esistono le mosche
- Bimba brava, bimba bella (filastrocca in dialetto genovese)
- Lullaby* (versione italiana)
- Totem
- Mister Supereroe
- Miracoli
- Lullaby** (versione inglese)
«È UN DISCO: UN DISCO NORMALE!»
Federico: «A questo punto sarebbe bello concludere questa puntata con un aneddoto che mi hai raccontato qualche tempo fa, precisamente a quando hai ultimato il disco e l’hai voluto far ascoltare in anteprima a tuo padre Luciano».
Roberto: «Ah, certo! È per me assolutamente un aneddoto comico, che la dice lunga sulle aspettative che nutri mentre metti mano a un’opera e, mentre la realizzi, essa diventa per te un po’ il centro del mondo e alla fine ti sembra spesso di aver fatto chissà cosa.
La storia è questa: la sera in cui, di ritorno dallo studio di registrazione con la copia master dell’album finito dopo due anni di peripezie, chiesi trepidante a mio padre (da sempre mio principale supporto logistico musicale e osservatore critico), al termine del suo ascolto, un giudizio sull’opera integrale, egli mi rispose:
«È un disco: un disco normale».
Attendendo chissà quale altra risposta entusiastica, rimasi completamente pietrificato da questa affermazione così assertiva e peraltro assolutamente giusta ed equilibrata (col senno di poi). Così la serata, che mi prefiguravo come un trionfo, si concluse con una delle nostre coriacee litigate che costellano e rendono viva la nostra relazione.

In realtà, mio padre, con questa affermazione, aveva battezzato quest’opera andandola a definire per ciò che realmente doveva essere: egli voleva dire, in modo brusco ma non negativo, che davvero avevo fatto un disco, come per fortuna ce ne sono altri milioni nel mondo, riconducendomi su un piano di realtà (cosa assolutamente sana per un artista), e nello stesso tempo mi aveva confermato il fatto che un’opera io l’avevo portata a termine».
Federico: «Certo, invitando allora tutti ad andare a cercare e ascoltare Un giorno sulla terra su tutti gli store digitali, vogliamo concludere questa nostra puntata con la lettura integrale del Diario di bordo con cui abbiamo aperto. Alla prossima».
Roberto: «Grazie a tutti dell’ascolto!»
DIARIO DI BORDO
È quasi sera. La sera di un altro giorno passato sulla terra.
Dormiremo qui in provincia, stanotte. Perché siamo solo di passaggio.
Un tenue color pastello confonde e altera le tinte originali delle cose, qui attorno, e la pelle, per via della polvere sollevata dal vento sulle strade, si è abbronzata in un modo tutto suo.
Devi sapere che da quando siamo arrivati ci capita di assistere spesso e gratuitamente all’unico spettacolo girovago che arriva da queste parti. Gli anziani della zona lo chiamano “crepuscolo”. Nessuno applaude, nessun sipario all’inizio e alla fine. Stiamo semplicemente lì, e davanti a noi il giorno si apre e si richiude nel bocciolo da dove è venuto. La cosa triste è che siamo sempre di meno a venire qui. Spero che continuino a replicare anche per i pochi spettatori rimasti. Perché questo show è sorprendente: da un capo all’altro dello spettacolo vedi un sacco di gente. Incontri suoni, ritmi e rumori diversissimi.
Gli abitanti di questa terra sono imprevedibili: si muovono instancabilmente e il loro mondo cambia sempre forma. Uno di questi giorni voglio salire in alto (c’è un colle proprio qui sopra con un panorama fantastico) per cercare di veder bene tutto. Dall’alto, capisci? Abbracciare con lo sguardo la vita che si agita sulla terra e scoprire in quanti miliardi di modi un uomo riesce a vivere e morire, gioire e soffrire, partire e ritornare a casa.
Sto bene qui, nonostante tutto. Perché tutto mi affascina e mi parla come di qualcos’altro. Ecco, vedi: un altro giorno con la sua sera mi è dato, per ascoltarne le storie e cantarne io. Così adesso ti invio queste canzoni, conservale per il mio ritorno. E domani, con la pace che la sera porta con sé anche lì, percorri a piedi finché puoi la strada tra la capanna e il grattacielo, tra l’alba e il tramonto della tua terra. Vediamoci là. Da qualche parte, di passaggio, ci incontreremo e senz’altro mi riconoscerai. Sarò ora un giullare solitario, ora un gruppo multicolore di musicanti che si sposta, si muove e si contorce. Ma nella sera, che fa della musica e della vita una cosa sola, ci ritroveremo a guardare insieme meravigliati il giorno da quel colle. E saremo a casa.
Un abbraccio e a presto.
DOVE ASCOLTARE IL PODCAST
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