Nell’indifferenza ho visto crescere la speranza,
un frutto raro come i tuoi occhi
grandi quasi come i tuoi grandi sogni,
appunti di viaggio che ho con me,
perché questo, in fondo, è il mio mestiere:
contemplare i fiori del mio re.I fiori del re
(musica e parole di Roberto Frugone)
Nel quinto episodio del podcast Petali nella burrasca, ho conversato con l’autore, attore e regista teatrale Federico Luciani, portando in superficie i contenuti e l’ispirazione di I fiori del re, una mia canzone composta nell’estate del 1996 e pubblicata nell’autunno dello stesso anno all’interno di Appunti di viaggio, il mio album di debutto.
La versione originale del brano, incisa da Enrico Pianigiani e arrangiata con il contributo del chitarrista Carlo Faraci, è quella che gli ascoltatori del podcast troveranno al termine della puntata.
Buon ascolto!
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I FIORI DEL RE
(Musica e parole di Roberto Frugone.
Tutti i diritti riservati ® S.I.A.E.)
Ho visto la notte crescere dentro,
ho visto domande soffocare in un lamento.
Ho visto uomini sul rogo,
ho visto ben poco del mondo
e ho timore di ogni incontro,
i miei sospiri li nascondo,
ma ho imparato dagli sguardi vuoti che
se non hai occhi grandi,
senza un grande sogno
non vivi, non ringrazi il giorno
che si spalanca di fronte a te
come le finestre quando passa un re.
Ho visto il giorno germogliare l’alba
e ho visto l’alba tossire di fumo,
ho visto sorgere e cadere
astri di città e metropoli in delirio
ricche di ascensori e di orizzonti senza cielo,
piene di televisori e di ogni tipo di collirio
ma senza occhi grandi,
senza un grande sogno
da non dormirci e stare sveglio
ed aspettare ogni nuovo giorno
con l’ansia di chi ha tutto tranne un re.
Ho visto tanta gente passarmi affianco,
foreste che crescono in silenzio,
e una falsa libertà che inganna
e punge, brucia, consuma e poi falcia,
nell’indifferenza ho visto crescere la speranza,
un frutto raro come i tuoi occhi,
grandi quasi come i tuoi grandi sogni,
appunti di viaggio che ho con me,
perché questo in fondo è il mio mestiere:
contemplare i fiori del mio re.
SENZA PERDER MAI DI VISTA LO SGUARDO
Federico: «I fiori del re è il brano di apertura dell’album Appunti di viaggio. La genesi di questa canzone, in base a quanto mi hai accennato nell’imbastire il podcast è curiosa…»
Roberto: «L’origine di questo pezzo può risultare singolare perché, come scorrendone il testo sì può facilmente osservare un continuo riferimento al senso della vista, l’idea di vedere (alla base della canzone) ritorna tante volte citando gli organi alla vista preposti, ovvero gli occhi, e l’effetto che il posare lo sguardo su tante situazioni, oggetti, fatti ed esperienze ha su di me.
Federico: «Dopotutto la prima cosa che fa chi inizia un viaggio, è quella di guardare fuori dal finestrino. Quindi ci sta, il riferimento al vedere».
Roberto: «Certo, e tutto nasce pertanto dall’aver riflettuto su un fatto curioso confidatomi da un’amica, la quale si lamentava di avere gli occhi troppo grandi rispetto alla sua faccia. Questa lamentazione – peraltro abbastanza discutibile! – era di tipo fisionomico, ma io ne ho approfittato per divagare introspettivamente a partire da questo dettaglio. Si tratta di un procedimento per me abituale, nella scrittura delle canzoni. E come ben sappiamo, molte opere nascono proprio dal lavorare su dei dettagli. Sono partito dunque da questo dettaglio per scrivere una canzone sul tema del vedere, degli occhi che guardano il mondo. In sintesi, I fiori del re è un pezzo sull’importanza dello sguardo.
Però, paradossalmente, nel testo faccio di proposito un lungo elenco di cose che ho visto, come se fossi un grande esperto della vita (cosa che non ero affatto alla veneranda età di ventidue anni!), e che potrebbero far sembrare il cantautore una specie di novello e presuntuoso Marco Polo:
Ho visto la notte crescere dentro,
ho visto domande soffocare in un lamento.
Ho visto uomini sul rogo […]
Ma questo punto, nel quarto verso, finalmente confesso una cosa di buon senso:
ho visto ben poco del mondo.
Confesso che questa convinzione fortunatamente permane tuttora nella mia personale esperienza di vita, anche se, forse perché è passato nel frattempo più di un quarto di secolo, sono forse mutate le prospettive di giudizio sulle cose viste. E a questo proposito, sarebbe interessante riscrivere questo pezzo oggi!
GRANDI OCCHI PER GRANDI SOGNI
Quindi, a partire dall’idea dell’oggetto dello sguardo, del dove si posano gli occhi, la mia riflessione più profonda, in questo pezzo, verte su ciò con cui è bello riempirli, questi occhi».
Federico: «Scrivi infatti “grandi occhi per un grande sogno”. Qual era il tuo grande sogno allora?»
Roberto: «Il grande sogno era la musica, anche se non inteso nel senso di certe affermazioni che ascolto di frequente e reputo banali come “la mia vita, senza la musica, non ha senso” o altre espressioni affini e superficiali, e pertanto capaci di esercitare una facile presa sul grande pubblico. Dire che il grande sogno era la musica, per me significava che volevo riuscire a esprimermi attraverso quest’arte favolosa che avevo scoperto e in cui ero a mio agio».
Federico: »Tu reputi di avere ancora degli “occhi grandi con grandi sogni”?»
Roberto: «Ma sì, dai! E qui lo dico sperando che quest’affermazione non venga percepita come vanagloria…»
Federico: «Ma è una prospettiva, non è vanagloria!»
A TU PER TU CON IL NARCISO INTERIORE
Roberto: «Hai ragione: i sogni cambiano, ma la prospettiva e quello sguardo restano.
Riferendomi poi al discorso relativo al timore di essere borioso (che mi accompagna dai miei inizi), voglio rivelare anche quanto mi abbia sempre preoccupato l’idea che, attraverso la narrazione delle canzoni, della loro creazione, del mio mestiere di cantautore, insomma, io mettessi troppo in mostra il Narciso che c’è dentro ogni artista. Quindi ho sempre giocato da un lato a esprimerlo, questo Narciso, perché se non lo si esprimesse probabilmente non esisterebbe l’arte; nello stesso tempo ho sempre cercato di governarlo, perché, se lo fai esprimere troppo, secondo un sentimento assolutamente diffuso nella cultura occidentale, Narciso può imbizzarrirsi e finisci per non riuscire a controllarlo più. Sono sicuro che, a questo proposito, anche tu hai molto da dire!
Michelangelo Merisi da Caravaggio – Narciso (Pubblico dominio, collegamento)
Quando invece mi fai parlare di tutte queste cose che tiriamo fuori dalla mia esperienza, io ho sempre il non troppo segreto timore che innanzitutto possano annoiare le persone (fatto imperdonabile per un artista!), e nello stesso tempo che, in qualche modo ci si pavoneggi di tutto questo (aspetto per me altrettanto imperdonabile). Ma in realtà si cerca di raccontare onestamente ciò che si vive».
I MIEI SOSPIRI LI NASCONDO
Federico: «E, in realtà, proprio in questa canzone, tu scrivi:
ho timore di ogni incontro,
i miei sospiri li nascondo.
Neanche a farlo apposta, siamo proprio lì!»
Roberto: «Già, ecco. Quando nel 1996 scrivevo questo pezzo, in me si agitava tutto un mondo emotivo in continuo subbuglio, com’è quello di una persona di quell’età, che si affaccia progressivamente alla maturità, alla ricerca delle relazioni e degli incontri giusti per sé. Tutto questo mette in crisi, no?»
Federico: «Nell’ultima strofa di I fiori del re canti addirittura
ho visto tanta gente passarmi affianco,
concetto che si sposa perfettamente con il discorso che stai facendo e anche con quanto ci siamo già detti parlando della canzone Controvento: c’è questa sorta di insicurezza di fondo dell’adolescente, del giovane che sta “cercando la sua città” come abbiamo visto in Metropolis».
LA NOSTRA PARTE ADOLESCENTE: UN TESORO DA CUSTODIRE
Roberto: «Sì, è quell’adolescente che non bisogna avere né vergogna né timore di continuare a custodire in qualche modo dentro di sé. Perché la nostra parte adolescente è quella che ci spinge alle grandi ribellioni, che smaschera le iniquità e ci fa appassionare a un’idea di giustizia e lottare per essa. E l’adolescente è quella parte dentro di noi piena di contraddizioni. Io, forse per il fatto che nell’adolescenza mi specchio e poiché, accanto all’esperienza di artista, negli ultimi venticinque anni ho sempre lavorato principalmente con giovani e adolescenti sia come animatore socio educativo che come insegnante, sono sempre stato tremendamente affascinato da questa età di transizione.
In essa intravvedo tutta la tenerezza e la dolcezza dell’infanzia e nello stesso tempo la temerarietà della giovinezza di fronte alla prospettiva dell’età adulta. Per tutto questo, l’adolescenza è un’età bellissima.»
L’IMPORTANZA DELLO SGUARDO
Federico: «Se in I fiori del re il tema degli occhi è centrale, ti suggerisco adesso due citazioni, riprese da altre tue canzoni, che volevo condividere con te.»
Roberto: «Sono curioso come sempre: ormai, chi ascolta questo podcast si sarà progressivamente abituato ai tuoi collegamenti, che per primo stupiscono me! E di questo ti ringrazio».
Federico: «Venendo dal teatro, a me piace unire i puntini, attività che poi è il compito del regista teatrale: unire i puntini cercando di fare in modo che tutto abbia un senso. E qui, nel tuo repertorio, è una caccia al tesoro: io ti fornisco gli input e i puntini li unisci tu.
La prima citazione che ti propongo è estratta da Un giorno sulla terra (2002):
Quello che hai sentito vorrei che diventasse brezza
di un mare che ha per sponde due occhi così chiariUn giorno sulla terra
(musica e parole di Roberto Frugone)
mentre la seconda è tratta da Prima della pioggia (1999):
Ma al di là del colle c’è una terra d’oro,
io salgo su ogni sera per vederla da vicino.
Lo sai: mi fanno male gli occhi, questi miei occhi…Prima della pioggia
(musica e parole di Roberto Frugone)
A te la parola…»
Roberto: «Che belli questi accostamenti! Io mi emoziono ascoltando questi versi, anche se il giudizio sulla loro bellezza lo lascio ovviamente al pubblico.
In ogni caso, è risaputo che attraverso gli occhi – e non sono il primo a dirlo – si vede l’anima di una persona: gli occhi sono il lasciapassare per la nostra interiorità. Quegli “occhi così chiari” di Un giorno sulla terra, quindi, non sono solamente un riferimento a degli occhi effettivamente di colore chiaro, ma nella mia scrittura rappresentano un’idea di tenerezza, di gentilezza e anche di fragilità della persona: quindi “due occhi così chiari”, cioè così fragili come siamo noi di fronte al cosmo. A questo proposito, penso allo stesso titolo di questo nostro podcast, che esprime la stessa idea, anche se con un’altra immagine, quella dei “petali nella burrasca”. Allo stesso tempo, hai citato una parte chiave di un’altra canzone per me l’importante, Prima della pioggia, in cui non si fa fatica a intravedere anche lì citato il celebre “ermo colle” de L’infinito di Giacomo Leopardi.
“Mi fanno male gli occhi” esprime quel sentimento di spaesamento generato dal tentativo di immaginarmi al di là di me stesso, di immaginare quell’infinito verso cui mi sento proteso».
IL SOUND ECLETTICO DI APPUNTI DI VIAGGIO
Federico: «Hai qualcosa da aggiungere, invece, sulla musica? Perché con questa canzone getti le basi del sound di tutto l’album Appunti di viaggio, chiaramente di tipo pop anni ’90».
Roberto: «Diciamo che l’album Appunti di viaggio, nel suo eclettismo stilistico, dato dal mio interesse per la sperimentazione di diversi generi musicali, preannuncia in qualche modo quello che sarebbe poi diventato il marchio di fabbrica del mio futuro stile musicale, e che, tuttora, pur rimanendo nell’alveo della cosiddetta musica leggera, spesso faccio fatica a compattare in una sola espressione per via di quest’attitudine a voler spaziare tra i generi.

Così il rock avrebbe caratterizzato soprattutto gli arrangiamenti dell’album successivo Un giorno sulla terra del 1999, mentre l’etno-folk, ma anche elettronica e jazz sarebbero state le cifre stilistiche di Ultreïa! nel 2002, le sonorità classiche orchestrali generate dall’incontro delle mie canzoni con arrangiamenti per quartetto d’archi. avrebbero contraddistinto il suono di Rosa diventi e di venture nel 2006, mentre infine il genere pop-folk e pop-rock che sperimento con la Roberto Frugone Band ormai da oltre quindici anni a questa parte, caratterizza il mio attuale sound cantautorale.
Ebbene, dentro Appunti di viaggio c’è già un po’ di tutto questo, l’album è una sorta di calderone musicale dove in forma germinale ci sono tutti i segni distintivi del mio stile, che nello specifico del pezzo su cui ci siamo concentrati in questa puntata, I fiori del re, è contraddistinto da una certa grinta pop-rock.
È interessante riportare inoltre che l’intero album è stato registrato non con il supporto di una band, ma in forma solista autoprodotta, fatto che rende questa produzione qualcosa a metà strada tra l’album e una grande demo.

Quasi tutti gli arrangiamenti, infatti, tranne brani acustici eseguiti alla chitarra e al pianoforte, sono stati realizzati da me utilizzando delle tastiere workstation. Su questi arrangiamenti hanno poi sovrainciso delle sezioni soliste alcuni musicisti (principalmente il violinista fisarmonicista Paolo Banchero e il chitarrista/cantante Carlo Faraci) con cui collaboravo all’epoca. E io, uscendo dall’esperienza del mio primo gruppo, lo Studio Giona (attivo dal 1993 al 1996), proprio con loro due avrei costituito di lì a poco la formazione dei Totem (attivi dal 1996 al 1999) e con cui avrei realizzato l’album Un giorno sulla terra, di cui Carlo e Paolo sarebbero stati tra gli assi musicali portanti.»

DOVE ASCOLTARE IL PODCAST
Il podcast Petali nella burrasca è disponibile gratuitamente su Spreaker.com ed è distribuito su tutte le principali piattaforme di ascolto, tra cui Apple Podcast, Spotify, Deezer, Podcast Addict e Google Podcast.
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