
Il giullare Roberto Frugone
PERCHÈ MI DEFINISCO GIULLARE?
Il cantautore è una figura di artista particolare. Cantante e autore, egli si distingue dall’interprete di canzoni perché è anche drammaturgo e attore della sua performance, fatta di note, parole, accordi e frasi messe in scena attraverso il suo corpo e la sua voce.
Nel cantautore c’è molto del compositore, del letterato e del pensatore; ma allo stesso tempo il cantautore non può dirsi solo un intellettuale, o poeta o musicista a tutto tondo. Il suo piuttosto è un mestiere, nel senso etimologico del termine, un mestiere che attinge e convoglia sapienza nella forma canzone da un’eredità storica di grande tradizione.
La canzone d’autore è riuscita spesso là dove molto teatro ha fallito: nell’era delle comunicazioni di massa ha saputo incarnare una delle possibili forme della cultura popolare, inserendosi a cuneo nell’universo della tradizione orale.
CHE RUOLO HA IL CANTAUTORE OGGI?
Egli è contemporaneamente artigiano, libero pensatore e fenomeno di massa, e quindi difficilmente riconducibile a categorie conosciute. Vale quindi la pena di accostargli l’antica immagine del cantastorie nel riportare qui alcune riflessioni sul significato del mio nome d’arte: giullare.
UNA QUESTIONE DA CHIARIRE*
C’è innanzitutto un aspetto linguistico da chiarire: il termine giullare può assumere vari significati. Etimologicamente deriva dal latino joculator, a sua volta proveniente da jocus (gioco, scherzo).
Nella lingua e cultura italiana questo termine soffre di una duplice impropria sinonimìa con buffone da una parte e con trovatore dall’altra, ma tra queste parole vi sono notevoli sfumature di differenza.
Il buffone era solitamente colui che, nel medioevo, riusciva a trovare un impiego stabile presso un signore. Egli aveva il compito di rallegrare la corte con scherzi e lazzi, ma soprattutto di essere la vittima predestinata degli scherzi altrui. Spesso si trattava di una figura fisicamente deforme: nano, gobbo, rachitico oppure psichicamente minorato, matto o demente. Proprio queste sue deformità psicofisiche erano lo spunto che muoveva l’ilarità dei suoi crudeli contemporanei.
Il buffone rappresentava una sorta di capro espiatorio della cattiveria dei signori, uno sfogo per le loro frustrazioni. Si potrebbe dire che la presenza di un matto in vesti ufficiali servisse a tranquillizzare della propria sanità di mente, mentre sappiamo quanto spesso la follia del potere abbia colpito re e potenti.
Il trovatore era invece colui che inventava o, come si diceva allora, trovava i testi poetici che poi cantava direttamente o faceva eseguire da altri. Il trovatore poteva anche essere un signore di alto lignaggio: uno dei primi e più noti fu infatti Guglielmo IX, duca d’Aquitania, probabilmente il più potente signore francese del suo tempo.

UN CROCEVIA D’ARTI E MESTIERI*
Il giullare era dunque un grande mattatore, un professionista dell’intrattenimento. Storicamente collocato tra basso Medioevo e Rinascimento, egli si esprimeva in lingua volgare, ed era solitamente di umile condizione sociale, girovago, attore, cantastorie e musicista.
Fin dai tempi più antichi il termine è stato usato per contenere numerose figure d’intrattenitori quali menestrelli, mimi, cantinpanca, musici, araldi, domatori e ammaestratori d’animali, acrobati, mangiatori di fuoco, giocolieri, lottatori, banditori, guitti e si potrebbe continuare a lungo.
Nell’immaginario collettivo moderno, i personaggi dello spettacolo sono spesso investiti di una particolare dignità e celebrità (non per nulla sono chiamati divi, contrazione di divini), ma non sempre è stato così: a suo tempo il giullare soffriva invece di una clamorosa ambiguità sociale perchè non apparteneva a nessuno dei tre ordini in cui si divideva la civiltà medievale: oratores, bellatores, laboratores (sacerdoti, guerrieri, contadini) e come tale era considerato ai margini della società.
Così in parte il giullare godeva di una zona franca determinata dalla sua pazzia, che poteva consentirgli libertà precluse ad altri ma nello stesso tempo fargli subire pesanti persecuzioni e maledizioni d’ogni tipo. L’affermarsi degli Ordini Religiosi Mendicanti avrebbe però cambiato le cose: Francescani e Domenicani si trovarono a fianco dei giullari sulle strade e appresero le loro raffinate tecniche di comunicazione per la propria missione. Francesco d’Assisi (1182-1226), che sceglierà addirittura di farsi chiamare giullare di Dio.
INCANTO E MAGIA*
È molto difficile farsi un’idea dell’impatto che aveva l’arrivo del giullare in una piccola comunità medievale; oggi la musica e lo spettacolo in genere sono un evento ordinario e hanno perso una parte della loro atmosfera magica. Si può ascoltare musica in qualunque momento e luogo ci troviamo. Al contrario, nell’antichità, c’era uno stretto legame tra la musica e le occasioni di festa. Nei villaggi medievali, le occasioni per assistere a uno spettacolo erano molto meno frequenti, in special modo per le classi popolari.
Inoltre, per poter ascoltare musica, occorreva qualcuno che la suonasse, e ciò avveniva in circostanze che erano più rare man mano che ci si allontanava dai centri mondani e culturali quali le corti o le grandi città. Tale rarità aumentava il fascino e la capacità della musica di coinvolgere: l’incanto e la magia del teatro avvolgevano il giullare.
La sua esibizione sul palco da lui stesso allestito era un evento colmo di emozioni, ma era anche occasione di apprendimento e di conoscenza di idee, notizie costumi e immagini di terre altrimenti irraggiungibili.
* riflessioni in parte tratte da un articolo di Tito Saffioti pubblicato sulla rivista “Medioevalia”- n°9, Anno II
ROBERTO FRUGONE, GIULLARE
Ecco perché ho scelto questo nome d’arte, mi sento un pellegrino tra i suoni e le parole, amo mescolare le arti e sento un forte legame con la cultura popolare, forse proprio come quegli antichi giullari. Con queste premesse, è stato naturale per me ispirarmi spesso alla terra, intesa come patrimonio di cultura oltre che riserva di spunti e idee convertibili in canzoni. Ogni artista, per quanto sradicato o cosmopolita sia o si senta, ha da qualche parte, in qualche cassetto, una terra dalla quale proviene, anche solo idealmente. E la mia terra è la provincia di Genova. Una crosta ruvida di montagne ad arco sul mare.
«Dieci anni fa avvenne un fatto imprevisto: cominciai a scrivere canzoni. Per incoscienza ed altre virtù. Quel fatto ha determinato la mia storia. Per ricordarmi l’intuizione che mi fece partire, trovai un nome: “giullare”.
Quel mestiere venuto da lontano mi affascinava per tutto ciò che conteneva. Cantastorie, musico, attore, mimo, saltimbanco, araldo, domatore, acrobata, mangiatore di fuoco, giocoliere: il giullare era questo ed altro ancora.
Ma non era un divo per nessuno. La povertà e l’inquietudine della sua condizione lo portavano ai margini della società, dove la sua “follia” girovaga gli procurava grande libertà ma anche dure persecuzioni.
Incontrai poi il più nobile dei giullari: un guitto di nome Francesco d’Assisi, che con sublime provocazione volle chiamarsi “giullare di Dio”. Da allora quella è la mia strada. Cantare la vita alla vita nella sua interezza e tenerezza, da giullare. Non voglio rendermi simpatico. Non cerco consensi. Non mi interessa un nome d’arte convincente: voglio solo essere fedele a quell’identità. Tanti mi chiedono perché “giullare”, alcuni detestano questo nome, molti non lo comprendono, altri lo amano. Quelle che ho raccontato sono per tutti le ragioni della mia scelta.
Oggi ho percorso un tratto di quella strada indicatami. Molti incontri, medesimo stupore. Non pensavo assolutamente di essere cantautore, di fare concerti, dischi e quant’altro. Non che questo significhi chissà che, semplicemente è imprevisto.
Da bambino sognavo di diventare archeologo per strappare alla terra segni arcani che la storia aveva sepolto. Mi sono trovato invece a estrarre minerali dal cuore per trasformarli in parole cantate. Sognavo di diventare uno importante. E come molti ho confuso spesso importante con famoso. Ho confuso il luccichio con la fiamma, le mie ambizioni con la mia vera strada. Per fortuna l’imprevisto mi ha spinto continuamente fuori. Fuori dal mercato, dal giro, proprio come quei giullari.
Io spero di riuscire ancora a lungo a scrivere “giullare” vicino al mio nome. Significa che ricordo ancora da dove vengo e dove l’imprevisto mi sta guidando. Se un giorno non lo farò più, mandate un imprevisto a bussare ancora alla mia porta.»
Roberto Frugone, giullare
Casarza Ligure, 12 luglio 2001