Io non sono il saggio che conosce la meta,
ma un giullare in viaggio, e tu una cometa,
così ti osservo e ascolto quel che dice il cielo,
lassù la tua città, la mia, prima o poi, la troverò.Metropolis
(musica e parole di Roberto Frugone)
Nella seconda puntata del percorso del podcast Petali nella burrasca, conversando con l’autore, attore e regista teatrale Federico Luciani, ho presentato Metropolis, una delle mie prime canzoni, un brano che amo molto per i motivi che scoprirete ascoltando il podcast o leggendo il testo trascritto di seguito, un pezzo che, infatti, dal 1994 continuo a proporre durante i miei concerti.
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Ed è estratta proprio da un concerto tenuto a Chiavari (nella caratteristica Piazzetta dei pescatori) nell’estate del 2010 con una particolare formazione della Roberto Frugone Band (Gianteo Bordero – basso elettrico, Roberto Frugone – voce e chitarra acustica, Maurizio Ghirlanda – chitarra elettrica, Luca Laurino – batteria) la versione live del brano con cui mi piace omaggiare gli ascoltatori del podcast: la potrete ascoltare al termine della puntata.
Grazie ancora e buon ascolto a tutti!
ROBERTO FRUGONE BAND
Formazione concerto a Chiavari (Piazza dei pescatori), 16 luglio 2010.
METROPOLIS
(Musica e parole di Roberto Frugone
Tutti i diritti riservati ® S.I.A.E.)
Adesso che hai vent’anni,
adesso capirai
che la vita non l’inganni:
il domani non ce l’hai.
Una capanna o un grattacielo
non importa, sai,
è nella mente, nel tuo seno
il tesoro che hai.
I giocolieri della morte
hanno danzato
per te, regina cento volte
con un re sbagliato,
e le stagioni passavano
quasi come accordi
delle mie canzoni,
dei tuoi ricordi.
Hai visto molti arrendersi,
gettare la spugna,
e l’unica realtà,
l’unica verità sembrava la menzogna
nella grande civiltà
che ai suoi figli sa soltanto
dire «chissà?»
È immensa la metropoli,
ti perdi ad ogni strada
tra le formiche e i popoli
che tornano a casa.
Qui gli anni si consumano
nell’oblio che inghiotte
uomini e dei, profeti e cowboy
in un’oscura notte.
Non dirmi che credi davvero
queste dolci bugie,
io, se fosse vero,
vivrei di fantasie
e invece credo a te più che al pianto
e per questo canto:
la vita è un bicchiere di vino,
se vuoi mezzo vuoto,
se vuoi mezzo pieno.
E se quel fiore l’hai coltivato
crescerà con te,
portalo dentro fino al tempio:
lo chiamerai amore,
più dell’oro brillerà
su tutte le miserie di questa città.
Adesso tu hai vent’anni
e cammini da sola:
burrasche e tiranni
non ti fanno paura.
Io, qualche volta,
penso i tuoi pensieri,
mi appaiono sentieri
e campi biondi di girasole,
aromi e poi misteri.
Io non sono il saggio
che conosce la meta
ma un giullare in viaggio
e tu una cometa,
così ti osservo e ascolto
quel che dice il cielo;
lassù la tua città,
la mia, prima o poi, la troverò.

METROPOLIS, GENESI DI UNA DELLE MIE CANZONI MANIFESTO
Federico: «In questa puntata iniziamo il nostro viaggio dall’album Appunti di viaggio del 1996 e dalla canzone Metropolis in esso contenuta. Com’è nata questa canzone?»
Roberto: «Metropolis è una delle canzoni a cui sono più legato perché forse è una delle prime a cui riconosco la patente di canzone in qualche modo adulta, sia come linguaggio, sia come forma musicale che come contenuti espressi. È una canzone composta nell’estate del 1994, durante le vacanze estive in montagna con la mia famiglia. Non avevo neanche 20 anni all’epoca, e l’occasione della vacanza è sempre stata per me occasione di ritiro tra i monti e possibilità di praticare la scrittura nella quiete alpina, una dimensione che amo molto e che mi ha permesso di comporre parecchie canzoni. Metropolis è una di queste. Il pretesto per comporre è molto semplice: il compleanno di un’amica coetanea che in quel periodo compiva appunto vent’anni. Nel brano mi rivolgo a un tu, che è una lei in questo caso, ma, come in molti altri casi, ne approfitto per parlare anche a me stesso.

UNA RIFLESSIONE SUI VENT’ANNI E L’INCERTEZZA DEL FUTURO
Metropolis è una riflessione per fare il punto sui miei primi vent’anni, nel tentativo di avere uno sguardo lungimirante, come se fosse passato chissà quanto tempo da quei vent’anni, quando invece lo scrivente era consapevole di essere nel pieno della della giovane età. Comunque, dalla nascita fino a lì è una prima grande occasione per fare il punto, infatti l’incipit della canzone, che poi viene ripreso anche nella conclusione − un accorgimento che mi trovo ad adoperare spesso per le molteplici valenze di simmetrie metriche e semantiche − apre con
Adesso che hai vent’anni, adesso capirai
che la vita non l’inganni, il domani non ce l’hai.
È la prima presa di coscienza che diventare grandi, diventare maturi significa entrare nel gran mare dell’incertezza, in particolare l’incertezza del futuro, che per i giovani credo sia, oggi più che mai, un tema attualissimo».
Federico: «Condivido, infatti quello dell’incertezza è stato anche il tema del mio ultimo lavoro Q: l’eroe che inseguì la blatta, lo spettacolo originale con Chiara Pellegrini, Michele Moretti e Francesca Spiccio che ha vinto il concorso per autori teatrali “Teatro in cerca d’autore” di Avezzano (AQ). Ma torniamo a Metropolis…».
IMMAGINI DELLA CITTÀ, TRA FORMICHE E POPOLI CHE TORNANO A CASA
Roberto: «Il titolo Metropolis è una citazione dell’omonimo celebre album di Francesco Guccini, in cui le storie narrate nelle canzoni si sovrappongono a quelle delle città che esse richiamano, ma è soprattutto una citazione del film capolavoro del cinema muto di Fritz Lang, la cui visione mi aveva molto suggestionato. Avrei potuto intitolare la canzone semplicemente Metropoli, senza la s finale, ma trovavo, e trovo, maggiormente efficace la versione greca del termine, per esprimere in sintesi quella ricerca di un senso alla propria vita nel labirinto della città, per cui nel testo della canzone uso l’immagine, che a me piace molto, del formicaio. Quel “tra le formiche e i popoli che tornano a casa” esprime il tentativo di cercare e trovare la propria casa nella gran confusione della modernità».
Federico: «Non so se tu lo sai, ma questa immagine, successivamente tu l’hai utilizzata anche in un’altra canzone…»
Roberto: «Sentiamo, sono curioso: io non lo so, ma tu sicuramente sì!»
Federico: «Circa dieci anni dopo, ne L’arrivo della sera hai scritto
Scorre calmo il traffico, ritorno al mondo minimo
che parla il mio dialetto provinciale:
lontana la metropoli e il suo polpettone d’uomini,
la sola cosa immensa, qui, è il mare.
Quest’immagine era ancora molto ben chiara nella tua mente».
Roberto: «Sì, credo che il termine “polpettone” renda bene tutta la confusione e la frenesia del presente. E in tutto questo, il tema cardine delle mie canzoni resta sempre la ricerca di senso.

UN GIULLARE IN VIAGGIO
In Metropolis, quindi, ci sono tante citazioni e molte immagini che credo possano essere interessanti, e per la prima volta tra i miei testi – l’hai recitato nei versi che hai preso in considerazione per l’introduzione di questa puntata – fa capolino nelle mie canzoni l’immagine del giullare, un giullare in viaggio. E questo è il centro dell’album Appunti di viaggio, un giullare in viaggio che prende gli appunti sulla vita e su sé stesso, sul proprio modo di vivere».
Federico: «In questa canzone parli di questa tua amica che compie vent’anni e però parli anche a te stesso, anzi concludi la canzone con i versi in cui affermi che la tua amica ha trovato la sua dimensione (ma nello stesso tempo ha comunque anch’essa la sostanza della cometa passeggera) ed è in un luogo definito, il cielo, tu, invece, la tua città e la tua dimensione, dici che prima o poi la troverai».

LA CITTÀ, META SOSPIRATA DEL VIANDANTE
Roberto: «Esatto, a questo punto occorre precisare che la scrittura testuale di questa canzone è intrisa di reminiscenze bibliche e di un immaginario legato all’idea cardine della canzone, ovvero la città, la città d’oro, la città santa che ho provato a evocare nell’incisione originaria di questo brano, in cui il mio caro amico Alberto Rigoni si è prestato a recitare quest’introduzione:
Il viandante giunse poi alle pendici di una collina
e intravvide sulla cima la città.
La meta sospirata si ergeva maestosa sulla pianura
e, scintillando, diffondeva le luci
e il suono dei tamburi della festa
per tutti i campi attorno.

Federico: «Infatti volevo arrivare a questo: nel 1994 scrivevi “la mia città, prima o poi, la troverò”, e ora voglio chiederti se tu l’hai trovata, questa tua città. Perché nella canzone L’arrivo della sera, che abbiamo citato prima, metti in contrapposizione il polpettone di uomini della metropoli con la tua casa, che “parla il mio dialetto provinciale”. Quindi sembra che nel 2006, anno di uscita de L’arrivo della sera, tu forse avevi già trovato la tua dimensione nella provincia».

CANTAUTORE DELLA PROVINCIA
Roberto: «Sì, citando anche tantissimi altri cantautori e autori della letteratura, ti dirò una cosa che può sembrare banale, la mia casa – lo diceva Jovanotti – è “dove posso stare in pace, in pace con te”. Parlando di casa, ma anche di città, io posso dire di non aver mai lasciato la provincia, non tanto per scelta, ma perché è successo così, perché la mia vita ha avuto questo corso. E la città, il mondo metropolitano mi affascinano esattamente come la dimensione più rurale, provinciale e anche contadina, di piccola città come quella di Casarza Ligure in cui mi trovo a vivere. Anche perché la città è le relazioni che noi intessiamo, e alla fine, per me, il valore di fondo era questo, il valore che costruiamo. Nel suo caos, la metropoli, la città presenta degli imprevisti che possono essere meravigliosi, e oggi, a più di venticinque anni di distanza dalla composizione di questo pezzo, più grande, per non dire più vecchio, ho un’idea diversa della dimensione urbana: credo che la città sia una fonte inesauribile di risorse, mentre a vent’anni essa mi faceva più paura.
CANTORE DELLE PICCOLE COSE
Federico: «Ecco, possiamo allora approfondire brevemente questo tema dell’essere cantautore di provincia. Cosa vuol dire per te, adesso?»
Roberto: «Essere il cantore delle piccole cose, non intese nel senso minimo e limitante del termine, ma come piccole cose che riempiono l’esistenza quotidiana. A questo proposito, ha senso parlare anche del mio rapporto con il mercato discografico e con il mondo della musica, per cui in taluni casi sono stato un po’ costretto e in talaltri ho scelto di stare ai margini praticando una forma di assoluto artigianato musicale, condizione che genera una grande libertà ma anche una grande sofferenza perché poi finisci per stare spesso nell’ombra.
CANTAUTORE, OVVERO ARTIGIANO DI CANZONI
Questo è il cantautorato come lo intendo io: fabbricare canzoni da zero a cento, con tutti i limiti e i privilegi che questo comporta. Io sono come il falegname, mi piace sempre evocare quest’immagine, l’artigiano che per costruire una sedia va nel bosco a tagliare l’albero (anche se sappiamo bene che oggi, anche nell’industria del legno, c’è tutta una filiera produttiva). Nella società iperspecializzata in cui viviamo, e nella fattispecie della produzione industriale di musica, per raggiungere il cosiddetto successo, (termine che merita un altro lunghissimo discorso) il prodotto deve passare di mano in mano a una serie di professionisti specializzati in quel dato passaggio. Io ho fatto una scelta diversa: mi piace seguire dall’inizio alla fine la produzione delle cose che metto sul mercato. Ne accetto tutti i limiti, perché ovviamente la mia non può essere, dal punto di vista del suono o della rifinitura del prodotto, una produzione di rilievo internazionale. Però il mio disco prende la forma che sento e desidero, ha il volto delle persone con cui collaboro, e quindi c’è una storia anche di relazioni, di amicizia, di confronto, di cura. Per non parlare di tutta la parte fondamentale nel lavoro del cantautore, cioè la composizione: io limo il prodotto, scrivo e riscrivo musica e parole, anche se c’è un mondo là fuori, al di là del mercato musicale, in cui si registra purtroppo un appiattimento dell’ascolto, un abbruttimento del gusto e della capacità di attenzione su molti contenuti. Nello scrivere le canzoni sto attento alle virgole, leggo cinque libri di filosofia prima di scrivere due righe, e questa cosa la dico più umilmente possibile, non perché voglio fare lo splendido, ma perché è davvero così, per me. Le canzoni sono un tentativo di indagine filosofica, esperienziale e spirituale di quello che vivo. Se poi esse diventano anche un prodotto commerciale benissimo, se non lo diventano va bene lo stesso».

UN CARATTERISTICO ARRANGIAMENTO CHITARRISTICO FINGERPICKING
Roberto: «Compositivamente, dal punto di vista musicale, Metropolis, nasce utilizzando una tecnica di fingerpicking, una modalità esecutiva chitarristica molto suggestiva, che prevede il pizzico alternato delle dita della mano destra anziché l’utilizzo del plettro (o pennetta), quella sorta di unghia finta a forma di goccia che permette di “pennare”, cioè di percuotere contemporaneamente tutte le corde dando un certo senso ritmico al pezzo. L’esecuzione a plettro (flatpicking) si usa tipicamente nell’approccio alla chitarra pop-folk, il mio strumento principe per comporre, una chitarra caratterizzata da corde in metallo dal suono brillante, manico stretto e cassa grande molto sonora, particolarmente indicata per accompagnare il canto. La tecnica fingerpicking, in Metropolis, permette invece di conferire al brano una maggiore ricchezza ritmico-armonica. L’accompagnamento ritmico, dove si alternano i bassi con i suoni alti delle corde della chitarra, a mio avviso si combina suggestivamente con l’utilizzo della mano destra come elemento percussivo mentre essa batte sulle corde a ogni inizio di battuta. Buon ascolto!»
DOVE ASCOLTARE IL PODCAST
Il podcast Petali nella burrasca è disponibile gratuitamente su Spreaker ed è distribuito su tutte le principali piattaforme di ascolto, tra cui Apple Podcast, Spotify, Deezer, Podcast Addict e Google Podcast.
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