Chi siamo? Da dove veniamo? E dove andiamo?
Io vado avanti come un giunco che dondola,
figlio del mio tempo e dell’eternità.Controvento
(musica e parole di Roberto Frugone)
Nel quarto episodio del podcast Petali nella burrasca, conversando con l’autore, attore e regista teatrale Federico Luciani, abbiamo presentato Controvento, una mia canzone scritta nel 1994 e pubblicata nell’album Appunti di viaggio del 1996.
La versione originale del brano, incisa da Enrico Pianigiani e arrangiata con il contributo del fisarmonicista Paolo Banchero, è quella che gli ascoltatori del podcast potranno sentire al termine della puntata.
Grazie dell’attenzione e buon ascolto!
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CONTROVENTO
(Musica e parole di Roberto Frugone.
Tutti i diritti riservati ® S.I.A.E.)
Quel che resta di un uomo
non è un mucchio di sabbia,
né l’orgoglio né la rabbia
ma soltanto il desiderio
di tornare a far festa
in quest’oceano in tempesta
perché appare l’orizzonte.
Amore mio, dove sei?
Quale onda o confine,
amore, io dovrei inseguire
come un pescatore
la corrente che porta
alla fine del mare,
perché tu mi aspetti ancora là?
Così venne il tempo della pace,
ci sedemmo assieme al torto
di esser nati senza voce,
perché il resto era occupato
dai discorsi dei sapienti
col veleno in mezzo ai denti, ma tu…
Amore mio, nelle notti di tenebra
eri lampada ai miei passi,
adesso io non distinguo più
le perle dai sassi,
tra questa gente
che ride del mio pianto e di me…
Eppure tu mi aspetti ancora là!
Ma tu no, non credere ai vincenti
e ai mercanti di certezza
che ti vendono serpenti
per darti sicurezza:
la tua storia vale un sogno
che di vivere ha bisogno, perché noi
siamo giunchi controvento,
nati per l’alba nella terra del tramonto,
e non è un pane di frumento
che ci sazierà:
come impronte sul cemento
le domande e le speranze
sono ancora tutte là,
controvento.
Chi siamo?
Da dove veniamo?
E dove andiamo?
Io vado avanti
come un giunco che dondola,
figlio del mio tempo
e dell’eternità.
Siamo giunchi controvento,
nati per l’alba nella terra del tramonto,
e non è un pane di frumento
che ci sazierà:
come impronte sul cemento
le domande e le speranze
sono ancora tutte là,
controvento.
MUSICISTI VERSIONE ORIGINALE IN STUDIO (1996)
- Roberto Frugone – voce, pianoforte, tastiere e programmazione
- Paolo Banchero – violino
LA COSTRUZIONE DI UN CONCEPT ALBUM
Federico: «Stavolta abbiamo introdotto il brano con dei versi che, nella versione originale estratta dall’album, non sono cantati, ma da te recitati. Possiamo intenderli per questo motivo come una sorta di motore della canzone?»
Roberto: «Sì, questi versi rappresentano in qualche la sintesi della canzone stessa. A me è sempre piaciuto, nei miei album, perseguire l’idea del concept album, ovvero l’album all’interno del quale le canzoni costituiscono in qualche modo i capitoli di un’unico discorso. Amo molto articolare in varie forme i contenuti che vado a esprimere nel disco insieme alle musiche, coltivo l’idea di concepire un’opera unitaria e non solo di assemblare brani musicali in una raccolta. Questo modo di lavorare mi permette di esprimere il mio eclettismo, che mi spinge a inserire all’interno degli album pensieri, parole, musiche e suggestioni di diverso tipo. Ecco perché, soprattutto in queste mie prime opere, ci sono spesso dei testi recitati e delle citazioni.
INTROSPEZIONE E IMPEGNO: IL MANIFESTO DI CONTROVENTO
Controvento è un brano a cui in quegli anni ero molto legato, lo consideravo una sorta di canzone manifesto, un testo molto programmatico, al cui interno convergevano due dimensioni che per me sono sempre state molto importanti e che poi, piano piano, nel tempo e con l’esperienza di vita ho messo sempre maggiormente a fuoco: la dimensione filosofico-politica che porta all’impegno sociale e la dimensione dell’intimità che si esprime nelle relazioni. Il tutto esplorato sempre con il taglio introspettivo che prediligo.
La dimensione che direi più filosofico-politica dell’esistenza è espressa in Controvento attraverso versi che riflettono su di essa, sulla ricerca di senso, mantenendosi in un ambito, mi riferisco ovviamente sempre alla parte testuale della canzone, più di tipo sociale e nello stesso tempo introspettivo, di significato.
Il titolo del brano e i versi che hai recitato,
Chi siamo? Da dove veniamo? E dove andiamo?
Io vado avanti come un giunco che dondola,
figlio del mio tempo e dell’eternità.
si rifanno direttamente alla metafora della canna al vento del grande filosofo Blaise Pascal:
L’uomo non è che una canna, la più debole della natura, ma è una canna che pensa. Non serve che l’universo intero si armi per schiacciarlo: un vapore, una goccia d’acqua è sufficiente per ucciderlo. Ma se anche l’universo lo schiacciasse, l’uomo sarebbe comunque più nobile di ciò che l’uccide, perché sa di morire e conosce il potere che l’universo ha su di lui, mentre l’universo non ne sa nulla.
Blaise Pascal, Pensieri (sez. VI, 347)
Nello stesso tempo, nel testo c’è un passaggio, che non ti è sicuramente sfuggito,
Così venne il tempo della pace,
ci sedemmo assieme al torto
di esser nati senza voce,
perché il resto era occupato
dai discorsi dei sapienti
col veleno in mezzo ai denti.
che è un rimaneggiamento, una citazione di una bellissima espressione di Bertolt Brecht:
Ci sedemmo dalla parte del torto
perché tutti gli altri posti erano occupati.Bertold Brecht
A me la filosofia e la letteratura hanno sempre affascinato moltissimo, pertanto queste e altre massime sono spesso rimasticate e riproposte in forma personale nei miei testi, in cui non cerco di camuffare una scopiazzatura, ma di reinterpretare a mio modo quei contenuti e quelle riflessioni».
Federico: «Woody Allen dice “se vuoi rubare, ruba dai migliori”: tu non sta rubando, stai attingendo dai grandi che hanno segnato il tuo percorso. Hai fatto bene, chiunque farebbe così».
Roberto: «Pertanto, nei versi delle strofe di Controvento, è espressa in forma introspettiva tutta questa componente più di tipo sociale e filosofico, mentre nel ritornello si apre la dimensione della relazione e della ricerca della relazione d’amore. Ecco quindi il binomio amore e politica, relazione d’amore e filosofia, introspezione e nello stesso tempo relazione con l’altro: sono due dimensioni che spesso nelle miei canzoni s’interfacciano e s’intrecciano. Infatti, nel testo di questa canzone, si passa dalla desolazione, dalla solitudine in cui mi ritrovo alla fine dell’ipotetica giornata che descrivo, al desiderio di rinascita:
Quel che resta di un uomo
non è un mucchio di sabbia,
né l’orgoglio né la rabbia
ma soltanto il desiderio
di tornare a far festa
in quest’oceano in tempesta
perché appare l’orizzonte.
E chi è l’orizzonte, se non l’amore amato?
Amore mio, dove sei?
Quale onda o confine,
amore, io dovrei inseguire
come un pescatore
la corrente che porta
alla fine del mare,
perché tu mi aspetti ancora là?
In questo ritornello, il dispositivo metrico e la disposizione degli elementi rendono forse un po’ contorta la frase – in realtà costituita da due domande – che però, a mio avviso, si alleggerisce parecchio nel momento in cui viene cantata».
“TRA QUESTA GENTE CHE RIDE DEL MIO PIANTO”
Federico: «Un tema sottotraccia che secondo me ritorna in diverse tue canzoni, è quello espresso nel verso
tra questa gente
che ride del mio pianto e di me
il tema del pianto, collegato all’idea di non essere capito, è presente anche in altri tuoi brani e album.
Per esempio ho pensato a come è espresso nella versione inglese di Lullaby** nel tuo secondo album Un giorno sulla terra, dove, con i versi
Ho un’anima piangente
dietro la mia faccia sorridenteRoberto Frugone, Lullaby**
ti immedesimi nel profeta Giona, esprimendo una sorta di insicurezza…»
Roberto: «Sì, non dimentichiamo che, quando composi Controvento, avevo appena compiuto vent’anni, e quindi l’autore, che può apparire come una persona molto convinta di quanto afferma, in realtà è poco più di un adolescente che rivolge delle angoscianti domande a sé stesso».
Federico: «Anche ne Il canto del cigno, il pezzo che chiude l’album Appunti di viaggio, sullo stesso tema del pianto, sembra che quasi ti rispondi da solo:»
E quel bisogno di te
lo sento palpitare in quest’anfora di male,
quel pianto sei forse tu?Roberto Frugone, Il canto del cigno
Roberto: «In questo caso il “tu” esprime un’alterità, un’ipotetico “tu” divino, il Dio con cui, nella sofferenza della vita, cerco di entrare in relazione, mentre in Controvento il tema espresso dal pianto è quello della derisione che può scaturire dal confronto sociale, dal confronto con gli altri, i pari. La canzone esprime quindi la ricerca, all’interno della relazione amorosa e nella sua unicità, della conferma, del rifugio, del nido in cui ritrovarsi al di là degli sguardi indiscreti che non sono capaci di comprendere».
COMPRENSIONE E RICONOSCIMENTO
Federico: «Quindi, come cantautore, non ti sentivi compreso, all’epoca?»
Roberto: «Bella domanda! Cercavo, cosa che faccio tuttora, di essere compreso nel senso etimologico del termine. Facendo un breve excursus sul termine “comprensione” appena tirato in ballo nella nostra conversazione, per “compreso” intendo proprio “preso tutto insieme”, per le tante cose che ho da dire così come nelle mie contraddizioni. La domanda di comprensione, in questi termini, è sempre stata molto viva in me: ho sempre avuto un fondamentale bisogno di riconoscimento.
Questo fatto mi ha sempre molto incuriosito, perché l’ho sempre sentita premere in me, nonostante sia stato una persona che, fin dall’infanzia, è stata molto riconosciuta, prima di tutto dai miei genitori, i quali mi hanno costantemente accompagnato, appoggiato e sostenuto sulla strada che ho intrapreso. Senza divenire mai dei fan sfegatati, cosa assolutamente non raccomandata, ma viceversa, mio padre e mia madre si sono mantenuti sempre ascoltatori critici della mia produzione creativa.
Ma quel bisogno di riconoscimento è da sempre un aspetto fondante del mo carattere, inteso non tanto come semplicemente la ricerca del cosiddetto successo, della fama, dell’affermazione, ma come bisogno di essere riconosciuto in quello che dico, che nel mio caso significa principalmente ciò che canto nelle canzoni. E il massimo di questo riconoscimento, per me, è anche ciò che sta accadendo qui ora, cioè che ci sia una risonanza dei contenuti che esprimo in chi ho di fronte, in chi incontro.
Federico: «Mi ritrovo molto in questo concetto».
Roberto: «Il bisogno di riconoscimento, secondo me, è alla base di buona parte dell’esperienza artistica. Quando una persona sale su un palco, cosa cerca se non il riconoscimento con le persone che ha davanti? In tutto ciò che canta, che dice, che recita, nell’opera che insomma propone, non c’è forse la ricerca di quella risonanza, e che l’altro risuoni della stessa vibrazione? Questa è una cosa bellissima, secondo me.
Riportando il bisogno di riconoscimento nella vita quotidiana e nelle nostre relazioni, puoi provare a immaginare cosa esso significhi all’interno di un’amicizia, di una relazione affettiva, parentale o di qualunque altro tipo e che esperienza umanizzante costituisca l’essere riconosciuti dall’altro, nelle proprie idee, così come nelle proprie fatiche e nei propri sogni. Eccola, la comprensione profonda, ovvero quando l’altro “prende tutto insieme” ciò che siamo. Questa è una grande e interessante aspirazione, da coltivare autenticamente in tutte le relazioni, un desiderio che, per fortuna, posso dirti che continuo ad avere oggi come allora».
VIVERE CONTROVENTO
Federico: «Dopo Appunti di viaggio, tu avresti scritto un intero album sul tema del vento (Rosa di venti e di venture, 2006), in questa canzone, in cui il vento è presente nel titolo e nell’immagine chiave di questa canzone, concludi dicendo che
Come impronte sul cemento
le domande e le speranze
sono ancora tutte là,
controvento.
Quindi, secondo questo pezzo del 1996, vai controvento tra domande e speranze. Dieci anni dopo, nel 2006, con Rosa di venti e di venture, seguirai ogni vento della rosa… Ora tu dove ti trovi, controvento o nella stessa direzione del vento?
Roberto: «Forse sono molto più vicino oggi che allora, a quell’idea di vita controvento. Sia nella ricerca della normalità della vita quotidiana che nelle esperienze che ho fatto e faccio collegate alla musica, mi è capitato di dover ridare continuamente nuovi significati all’arte. Mi spiego: senza darmi troppe arie, a vent’anni mi sentivo controvento semplicemente per il fatto di aver intrapreso la strada artistica. Essere controvento significava cercare, nella libertà, la strada che avevo scoperto e che sentivo essere per me: volevo fare il cantautore, cioè esprimere in musica le mie idee e i miei sentimenti, e attraverso tutto questo provare a essere me stesso, a incontrare le persone, ad affermarmi ed essere riconosciuto dagli altri al mio posto, nel mio ruolo. Quindi caspita, se questa era una scelta controvento rispetto a quello che poteva essere fare altro, ed è stata una scelta che ho pagato molte volte.
Oggi che mi trovo da tutt’altra parte del vento, più che del mondo, nel bene e nel male posso confermare che continuo a sentirmi controvento, per esempio attraverso la scelta stessa di essere qui a raccontarmi in questo podcast, di continuare a fare musica, di farla da artigiano, al di là di tutte le possibili piste commerciali o meno che quest’attività può comportare, di farla da padre come ieri la facevo da ragazzo, e di dare all’arte e alla vita d’artista un significato nuovo nel momento in cui non esistono più i dischi come li intendevamo a quell’epoca, di provarci ancora nel bel mezzo di una pandemia come quella che stiamo attraversando. Insomma, essere controvento è continuare a cercare orizzonti di senso attraverso l’arte, che per me si declina nella musica e nello scrivere canzoni».
DOVE ASCOLTARE IL PODCAST
Il podcast Petali nella burrasca è disponibile gratuitamente su Spreaker ed è distribuito su tutte le principali piattaforme di ascolto, tra cui Apple Podcast, Spotify, Deezer, Podcast Addict e Google Podcast.
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